giovedì 16 novembre 2017

L'EMOZIONE DI ESSERE ATTESI...

Sai …. Avremo un bambino!

Quelle parole lasciarono Mario il falegname senza fiato, il martello gli cadde dalle mani e abbracciò commosso la sua Carla.
Da un anno aspettavano, evidentemente le vacanze in Puglia, in quel paesino piccolo sul mare, avevano portato fortuna.

Durante la gravidanza Carla aveva sempre fame e tanto sonno. Mangiava e dormiva, a volte si addormentava sul divano mentre gli amici, invitati per cena, chiacchieravano.
In quei nove mesi era ingrassata di ventidue chili.
Frequentava un corso di preparazione al parto, voleva affrontare nel migliore dei modi il momento cruciale che le faceva tanta paura.
Ogni volta in cui faceva gli esercizi di rilassamento però, si addormentava a metà e non raggiungeva mai la fine, era proprio rilassata.
Avrebbe voluto che Mario l'accompagnasse al corso, ma lui la tranquillizzava dicendole che al momento opportuno poteva contare su di lui. 

Durante il sesto mese Carla cominciò a sentire i primi movimenti e fu meraviglioso.

Quel corpicino spingeva, da sotto la pelle. Quando era sdraiata vedeva la pancia tesa muoversi e alzarsi, con piccoli rigonfiamenti che sparivano, appena vi poggiava la mano. Quando faceva il bagno era un susseguirsi di sollevamenti e calcetti e i genitori si incantavano di fronte al grande mistero della vita.
La sera a letto, Mario si appoggiava delicatamente alla pancia e parlava con la sua bella voce profonda, raccontando di avvenimenti o di progetti e pian piano i calcetti smettevano, così Carla si addormentava.

La stanza vuota della casa adesso sarebbe diventata “la stanza del bimbo”. Decisero di dipingerla in azzurro, colore che i genitori amavano molto, e che ritenevano adatto sia a maschi che a femmine. Non volevano sapere chi sarebbe arrivato, prima della nascita.
Su una parete attaccarono un grande poster colorato con pupazzi animati e una culla in legno costruita apposta da Mario troneggiava nel mezzo della stanza. Era tutto pronto.
Si avvicinava la data presunta del parto, erano ormai gli ultimi giorni e a Carla, nonostante fosse aumentata notevolmente di peso, non mancava certo l'appetito.
Quel giorno aveva appena pranzato con fagioli e polpette, di lì a poco mentre lavava i piatti, sentì un rivolo giù per le gambe che non riusciva a trattenere.
In terra si era formata una pozza d'acqua, e l'amica che era con lei le consigliò di andare in ospedale.
Si erano rotte le acque, Mario arrivò fulmineo e si recarono in clinica.

Dopo tre ore, alle 18, una bambina fece spicco in questo mondo. Era il 18 giugno, una bella giornata di sole. Mario era stato tutto il tempo con Carla, l'aveva massaggiata durante il travaglio, l'aveva rassicurata durante il parto, aveva accolto Silvia con amore.



Ricevo da un'amica di Carla e della sua famiglia, e volentieri pubblico.
Buona lettura!

Vi invito sempre a visitare il mio sito: .http://autobiografia.altervista.org/  
... e a scrivermi. Non siate timidi! Grazie per la vostra attenzione




mercoledì 25 ottobre 2017

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "RACCONTARSI PER FOTOGRAFIE...."

Lunedì 30 ottobre 2017, alle ore 17,30, 
presso la Biblioteca Lame - Cesare Malservisi 
Via Marco Polo, 21/13 - Bologna

presenterò il mio libro


"RACCONTARSI PER FOTOGRAFIE,
FOTOGRAFIE PER RACCONTARSI

Proposte autobiofotografiche"


Le fotografie, nel nostro tempo, sono diventate alfabeto quotidiano. È nostro compito dare loro valore e nutrirci delle storie che ne provengono, le nostre e quelle dei nostri cari. Esse rappresentano tracce di noi, della nostra unica, eccezionale vita.

Portate una fotografia presa dai vostri album, dai vostri cassetti o files ... ci daremo il tempo per raccontare da subito.

In questo libro mi firmo Angela Mazzetti Fanti, per ricordare anche il cognome che mi ha dato mio marito, scomparso 16 anni fa. 
In effetti questo testo rappresenta è anche un'autobiografia di formazione nell'ambito  della scrittura autobiografica, dell'ascolto e del sostegno nel lutto, tre pratiche che si compenetrano, come illustrato nel mio sito, ma si tratta pure sempre anche di una formazione che attraversa la vita intera. 
E come non ricordare un compagno di vita come maestro, e tutti i miei cari, ai quali va la mia gratitudine, assieme a coloro che ho incontrato, con i quali ho lavorato, ho partecipato a percorsi formativi, ai docenti ed esperti che hanno illuminato molte vie... grazie!

Vedete anche il sito:
http://autobiografia.altervista.org/dentro-alle-pratiche.html


mercoledì 11 ottobre 2017

RACCONTARSI PER FOTOGRAFIE, FOTOGRAFIE PER RACCONTARSI Proposte autobiofotografiche

Benvenuti! E ben ritrovati a coloro che hanno avuto la pazienza di visitare questo blog!
Inviate pure qualche commento liberamente, perché non vengono subito pubblicati dal sistema, ma soltanto se da voi stessi autorizzati e da me letti. Coraggio allora!

Da parecchi mesi non pubblicavo più alcuna pagina, ma stavo perseguendo un obiettivo che mi ha molto impegnato e che ora mi dà una buona soddisfazione: un mio libro, che porta il titolo e sottotitolo in oggetto. La sua scrittura si è sviluppata lentamente, ha raccolto molte delle mie esperienza e ne ha creato una nuova.
Una forma di narrazione alla quale possono accedere tutti: la fotografia.

Il libro si occupa sempre di autobiografia e biografia, traduce le storie di sé attraverso un ascolto accurato e profondo che non può mancare: penso che mantenersi ascoltatori attenti faccia parte del quotidiano e di ogni ricerca personale, che sia fonte di buoni rapporti e di cura della parola e cammino per migliorare ciascuna umanità.

Il metodo trattato è pensato soprattutto per coloro che non possono scrivere o temono di non saperlo fare; è entusiasmante porsi davanti ad una fotografia ed attenderne la storia. Tutti possiamo essere narratori. Chi può aggiunge la scrittura o si fa aiutare da amici o consulenti.

Le fotografie rappresentano un grande patrimonio personale o famigliare. Tutti ne possediamo nelle scatole dei ricordi, negli album, nei files del computer o nello smartphone.
La fotografia è invasiva a volte, intrigante; lo scatto di amici sempre pronto a coglierci quando meno ce l’aspettiamo, o per il quale ci mettiamo in buona posa, che fine fa nella nostra vita?
E allora, coraggio, rispolveriamole e facciamone delle belle storie.. oppure delle stimolanti ricerche su di noi o sui nostri cari. Come siamo diventati? Che cosa ci piace fare? Che cosa amiamo fotografare? Attraverso i nostri scatti che più ci attraggono, proviamo a raccontarci, o a raccontare di altri, di viaggi, di panorami, di amici, di animali d’affezione…
Ne verrà fuori un mosaico di storie su noi stessi e sarà interessante riconoscersi o comprendersi più a fondo. Per saperne di più circa l’utilizzo delle fotografie e quindi dell’autobiofotografia, vi rimando al sito http://autobiografia.altervista.org/il-libro.html.
Qui ora vi racconto una storia, quella che ha nutrito molti miei passi nel campo fotografico e umano. Parte da molto lontano.


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La prima volta…

Una bimbetta con il nasino arricciato, un sorriso incerto, due occhi un po’ smarriti, mi guarda da uno spazio temporale lontanissimo.
Era una domenica pomeriggio, giorno di visite e, nel cortile della nostra vecchia casa di campagna, gli adulti accoglievano festosi la cugina di città e il suo fidanzato. Questi mostrava a tutti con orgoglio una macchinetta nera con una grossa lente sporgente che sembrava un piccolo cannone.
“Angela ci facciamo le fotografie! Guarda che bel cerchietto ti regalo, così te lo metti e ti fotografiamo!” Mi diceva la cugina per convincermi. A me non sembrava una grande festa, proprio no, e, piangendo disperata, scappai.
Ne ho vivo il ricordo come fosse accaduto ieri.
Mia sorella, a quel tempo diciannovenne, mi venne a cercare:
“Dai non fare così, poi ci rivediamo tutti nelle foto… sono bei ricordi!”
E io cambiavo nascondiglio. Dal pollaio passavo alla casetta degli attrezzi, poi, furtiva, ne uscivo e correvo dietro casa… finché, stanca, mi dovetti arrendere.
Tutti gli altri ridevano, entusiasti di farsi delle foto.
“Dai, vai a prendere la bicicletta!” mi incitarono; sapevano quanto mi piaceva.
Me l’avevano regalata da un mese e la mia inesperienza mi aveva procurato già parecchie abrasioni alle ginocchia, ma ne andavo fiera: era un oggetto solo mio, a mia misura. Dovevo solo imparare a stare bene in equilibrio e ad evitare i sassolini del cortile per evitare le cadute.

Ed oggi, eccomi ancora qui; la mia immagine è stampata su alcuni ‘pezzetti di carta’ in bianco e nero: ho la frangetta, i capelli scuri raccolti a coda dietro la testa; in una esibisco la bicicletta, in un’altra sono ritratta con mia sorella; poi con i cugini, dopo aver indossato, per l’occasione, il vestitino più elegante e il cerchietto.

Non manca il nasino arricciato!

Quel ‘buco nero’, l’obiettivo, mi ha ripreso tanto tempo fa e mi restituisce oggi dei momenti difficili da ricordare in assenza delle fotografie, momenti che adesso mi commuovono ogni volta che li guardo. Queste immagini sono custodite gelosamente nel mio primo album dove, a dodici anni, ho sentito il desiderio di raccoglierle, dall’infanzia alla prima adolescenza; le mie, quelle dei miei cari e degli amici. Pochi scatti, quelli lasciati da chi possedeva questo oggetto misterioso e affascinante: la macchina fotografica.
Mi rammento anche della cura che ho dedicato a questa raccolta e il titolo, che tuttora confermerei: “Io e gli altri - La mia vita attraverso le fotografie”.
Riguardo quel nasino arricciato; è innegabile, il mio amore per la fotografia comincia proprio da quel primo evento. In realtà si tratta di una fuga, forse per lo smarrimento di trovarmi davanti ad un oggetto sconosciuto: quell’occhio grande, dietro il quale il fidanzato di mia cugina mi scrutava, inquadrava e scattava.
Senza saperlo, ero come quei primitivi che avevano paura delle fotocamere perché “consideravano la fotografia una parte materiale di se stessi.”
Troppi misteri in quel pomeriggio per una bimbetta di cinque anni!

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E VOI? AVETE STORIE DA NARRARE A PARTIRE DA UNA FOTOGRAFIA SIGNIFICATIVA?
VI HANNO AIUTATO QUESTI SPUNTI?

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Il libro esce per www.youcanprint.it (selfpublising); una volt ache siete nel loro sito, potrete digitare il titolo o il mio nome per trovare il cartaceo oppure l’e-book. Viene distribuito anche nelle librerie aventi contatti con questo editore (on demand).
Se vi piacerà seguirne gli sviluppi, ne riporterò delle parti in questo blog.
Questa inoltre è una prima presentazione, ma ve n’è un’altra più ampia che resterà a lungo nel mio sito http/:autobiografia.altervista.org, assieme alla copertina del libro.


Visitate il sito   http/:autobiografia.altervista.org


lunedì 23 gennaio 2017

RACCONTARSI, RACCONTARE DI SE’… “I MIEI PIEDI… COSA DICONO DI ME?”

Mi rivolgo a coloro che hanno avuto la pazienza di seguire questo blog nonostante l’interruzione da settembre… Ci sono, eccomi qua, ma sono stata molto presa da impegni pressanti e allora, ho dovuto attendere per cercare i tempi di cura che la scrittura offre. Rallentare, prendermi momenti di silenzio, non solo per riposare, ma anche per meditare sui temi da pubblicare.
Sono stata aiutata da Odilia, che mi ha mandato da tempo due testi. Ne trascrivo uno su  “I miei piedi… cosa dicono di me?” 
Anzi le chiedo scusa per averla fatta attendere.
É un piacere oggi poterla pubblicare.

"Cara Angela, se i miei piedi potessero parlare, direbbero di me.....

Perché quando eravamo ancora piccini, ci prendevi l'ultimo dito e lo arrotolavi agli altri?
Io, piccolo ditino andavo a scavalcare il quarto e gli salivo sulla schiena. La gara con le altre bambine era questa... resistere più a lungo possible con il dito storto appoggiato al suo vicino.

Finito il gioco, ero senza forze e, a volte, perdevo sensibilità. Il camminare diventava difficile perché era come avere solo quattro dita per piede.
Che dire poi delle scarpe ortopediche che ci imprigionavano tutto il giorno, o delle sabbiature al mare? Quelle grandi buche scaldate dal sole cocente ci obbligavano a stare immobili, ma appena si raffreddavano, via di corsa nell'acqua a rinfrescarci.

Sai cara che seguirti e sorreggerti nella vita non è stato facile? Cammini troppo svelta a volte, dovresti farlo più lentamente e muovere le dita.... abbassa il tallone e solleva le dita, appoggia la pianta e chiudi le dita.
Ti ricordi quando da bambina, scendevi le scale di corsa pensando di volare? 

Quella volta scivolasti fino in fondo alla rampa, tagliandoti il mento.
Noi ti abbiamo accompagnata al pronto soccorso e quando il medico si complimentò perché eri stata molto coraggiosa mentre ti metteva i punti, noi ci siamo sentiti leggeri e in grado di volare nuovamente.

Adesso che siamo grandi, finalmente assaporiamo il relax; eccoci stesi in attesa delle belle coccole che ci faranno dormire. Un caldo pediluvio, una bella carezza, un massaggio tra le dita ed ecco fatto. Ti abbiamo sostenuta per tanto tempo, a volte è stata proprio dura, soprattutto quando ci facevi entrare in quelle altissime scarpe a spillo.
Il ritorno a casa e camminare nudi per terra ci faceva ritrovare noi stessi.
Poi abbassasti i tacchi e per due volte ci hai presentato altri piedini che hanno dato il senso al nostro esistere. Grazie.

Odilia


Rimando anche al sito metodologico
autobiografia.altervista.org