Buon anno 2018!!
Oggi vorrei proporre alcune
pagine del mio libro e un laboratorio di ascolto e autobiofotografia.
La presentazione del 30 ottobre
2017, presso la Biblioteca Lame – Cesare Malservisi, contenuta in un messaggio
precedente, è stata accolta con la buona presenza degli intervenuti e con il forte
ascolto e interesse sul tema “Raccontarsi per fotografie, Fotografie per
raccontarsi”.
Ne sono stata felice, è stato il
coronamento del mio lungo lavoro di studio e di pratica.
Ora non mi voglio autoincensare,
ma passare subito ad altra pratica.
Così in questo testo trascriverò
alcune pagine del libro stesso, in particolare quelle dove indico cosa si può
fare con il metodo autobiofotografico proposto e nel contempo comunicarvi che
terrò un laboratorio di 4 ore per trattare alcuni temi che ritengo possano
essere molto accattivanti e vicini ai nostri vissuti.
Il laboratorio si terrà il 10
marzo 2018 a Bologna.
Gli interessati possono
contattarmi via mail all'indirizzo
angela.mazzetti2@alice.it
e chiedere approfondimenti circa il luogo e il programma.
Raccomando a chi mi legge e,
prometto io stessa, la massima serietà.
Vi ringrazio per l’attenzione e
vi indico il sito dove esaminare quali sono le altre possibilità di lavoro che
propongo: http://autobiografia.altervista.org/
Un bel saluto a tutti. Angela
Ed ecco lo stralcio che offro
oggi alla vostra lettura!
“La vita è una
successione di immagini
che non si ferma
nemmeno nel sonno”
Vittorino
Andreoli
Da “La gioia di
vivere” ed. Rizzoli
Pensare per
fotografie
L’osservazione di Andreoli, coglie una realtà che
conosciamo: in modo del tutto naturale, autonomo, il nostro inconscio produce
immagini: i sogni. Notiamo quindi che non è il ‘fare’ che porta alla produzione
dei sogni (talvolta di grande rilievo per l’aiuto da parte del terapeuta), ma
il riposo.
È possibile allora che di giorno riproduciamo
involontariamente queste forme, con i mezzi umani che nel tempo abbiamo avuto a
disposizione?
La fotografia può essere un tramite per fissare i
nostri pensieri e i sogni?
Lo ‘scatto’ nelle mie riflessioni è avvenuto -già
annotavo- durante alcuni percorsi autobiografici predisposti per un lavoro di
gruppo, nei laboratori, o con singoli interessati. Sono stati gli autobiografi
che più faticavano nella scrittura, a narrarsi con una maggiore spontaneità di
fronte a foto-ricordo, o ad immagini dell’ambiente abitato, dipinte o disegnate
da loro stessi; o ancora con illustrazioni trovate per caso su riviste, in
mostre di pittura o in fotografie di altri, percepite come pregnanti per i loro
vissuti (in questo testo, più avanti, le chiameremo foto proiettive).
Come cogliere questi stimoli che sembrano segnare
altre strade dalle quali prendere avvio, forse ancor prima delle parole
(nell’oralità e/o nella scrittura) e che possano, anzi, agevolare e rafforzare
la propria ‘voce’? Come cogliere la predilezione fotografica che
nell’autobiografia pare restare quasi in secondo piano, quale forma accessoria
allo sviluppo della scrittura di sé?
Forse la proposta che intendo offrire potrebbe non
allettare chi ama conservare le immagini della sua vita in un’allegra caotica
scatola o in qualche cassetto, a meno che non voglia dare una svolta, anche
parziale, al suo affettuoso disordine, cercando le proprie orme più rilevanti.
Né potrebbe attirare chi vuole creare un album fotografico che tenga conto di
tempi cronologici, o suddiviso per capitoli in riferimento a viaggi, ad amici,
a familiari, a panorami, eccetera. Questo è un ordine che ciascuno può dare
alle proprie foto, solo che voglia mantenerle rintracciabili e disponibili per
farne buona mostra all’occorrenza. Una sorta di ‘archivio’, una modalità sempre
percorribile da chiunque abbia tale pazienza.
Da un album fotografico comunissimo, o da qualsiasi
altra raccolta, potrebbe invece prendere il via un itinerario stimolante e intenso:
a
cominciare dalle fotografie, o anche soltanto con le fotografie,
selezionandole dalla grande quantità di immagini che tutti possediamo. Esse
potrebbero essere considerate non più accessorie o sintesi della scrittura
autobiografica, ma protagoniste! Le
istantanee possono proporsi come memoria della realtà vissuta negli anni,
possono farsi utili spinte per l’emergere dei giorni dimenticati e diventare
narrazione.
Scriveva infatti Staccioli: “Le immagini CI
raccontano.”
Spetta a noi coglierne le storie, come cercherò di approfondire
e spero che le mie ricerche siano diventate teoria e pratica duttili, chiare e
fruibili. Ho scelto di scrivere questo testo quasi come un manuale, nel senso
etimologico del termine: vorrei che fosse agile, da tenere sottomano in
riferimento al proposito che approfondirò. Uno scritto aperto a nuove
esperienze derivanti da altri incontri e conoscenze; pagine disponibili fin da
ora al rinnovamento. Con questo intento divulgativo, riporterò, nella forma il
più possibile semplificata, anche l’uso dei termini tipici di alcuni studi.
Dopo un attento esame del percorso tracciato, credo
che ogni lettore potrà aver predisposto in sé l’atteggiamento idoneo (postura
o posizione) per occuparsi delle
proprie foto anche in autonomia e ad affidarsi al gioco stimolante
memoria-narrazione. L’album non sarà più lo stesso e potrà esse sfogliato con
quella lentezza tipica richiesta dal racconto, con quella calma necessaria a
riprendere i fili di trame che non possiamo dare per scontate, ma ritenere
passibili di arricchimento. Per approfondire la prassi che presento, ho letto
molte pagine di alcuni pensatori e operatori nel campo dell’ascolto e
dell’accompagnamento per aiuto, nell’ambito fotografico e autobiografico; poi
mi sono esercitata con i miei album e i file per procedere verso proposte
concrete ed efficaci.
Rivolgo quindi un invito a prendersi il tempo utile
per… pensare
per fotografie:
- per predisporre ‘identikit’
personali, sviluppandoli con modalità originali per
aprirsi alla creatività e provare a comprendere meglio se stessi da diverse
angolazioni, con alcune semplici pratiche (l’identikit è un contenitore della propria identità; su
questo leggeremo, tra qualche pagina, l’esperienza del noto fotografo: Luigi
Ghirri);
- per esplorare le radici
familiari, ri-trovarsi, ri-comprendersi e ri-conoscersi; adulti,
bambini e ragazzi possono accedere a questa opportunità facilmente, esplorare
negli album di famiglia le tappe dei vissuti comuni e raccontarsi; e poi
riconoscersi importanti l’uno per l’altro e, se del caso, tentare riconciliazioni. Nel caso di handicap verbale, o fatica nella scrittura, anche un bambino può
arricchire la sua storia componendo le immagini. Se riesce a lavorare con le
mani, i collages artigianali diventano descrittivi e visivamente utili ed
efficaci;
- per ritrovare luoghi
attraversati, persone vicine e lontane. Non è
raro che qualcuno, di solito un po’ avanti negli anni, mi dica con rammarico
che ha dimenticato la propria infanzia, o la fanciullezza dei propri figli; sfogliare
gli album di famiglia con il proprio partner o i figli stessi, oppure in
laboratorio, permette in questi casi di fare emergere ricordi in abbondanza e
di riprendere il filo narrativo interno che probabilmente si è interrotto;
-
per
mettere a fuoco impronte di vita e
approfondire l’ascolto e la cura di sé e degli altri (a
livello personale, per gruppi e per chi si dedica a relazioni d’aiuto);
- come sostegno durante percorsi di
riparazione nelle perdite (in assenza di patologia): lutto,
separazione, perdita dell’impiego…
- come possibile chiave di accesso
al personale bisogno di esprimersi (scelta dello
studio, del lavoro o altri impegni), di
accettarsi (cambiamenti del corpo, passaggi di vita, alimentazione, ecc.), di riappacificarsi;
- per ritrovare la capacità di
sintesi (rallentare il proprio pensiero e
l’eccessiva loquacità, per fare riposare la parola in spazi di silenzio e
creare meditazione), e/o provare a
gestire una modalità espressiva poco attenta.
Altri casi
potranno evidenziarsi durante l’esperienza. Dedicarsi ad un itinerario con
istantanee consolida lo sguardo e l’attenzione; la modalità di osservazione
della vita e la narrazione ne ricevono un impulso significativo.